mercoledì 28 ottobre 2015

Michelangelo Antonioni Pittore alla Galleria 28 Piazza di Pietra

La Galleria 28 Piazza di Pietra presenta dal 30 ottobre 2015 al 29 febbraio 2016 la mostra "Michelangelo Antonioni Pittore". Una mostra curata dalla moglie del Maestro Enrica Antonioni e da Francesca Anfosso. In esposizione i quadri di Michelangelo Antonioni, premio Oscar alla carriera oltre che vincitore di tutti i principali premi della cinematografia internazionale. Si tratta della prima volta in cui le opere pittoriche di Antonioni vengono esposte in una Galleria d’arte.



Michelangelo è pittore? " Certo che è un pittore, scrive Enrica Antonioni : Ha sempre dipinto, ha sempre guardato come un pittore, ha guardato i colori, colto le sfumature, la bellezza dei paesaggi e dei volti, dei muri e della luce rarefatta, si è soffermato a gioire dell'armonia degli alberi fioriti o delle dune del deserto, ha ammirato l'estro nelle tele dei più grandi artisti, ma quello che ha guardato più di tutto è stato l'uomo che guarda, che dispone, che medita, come è scritto in una lettera di Giorgio Morandi a lui indirizzata. Per questo credo sia diventato regista, perchè la curiosità di scoprire i sentimenti era più forte di tutto.

Questo è stato il suo compito, scavare nell'animo umano, a costo di incontrare una grande sofferenza. L'impegno che ha messo nel cinema è stato lo stesso che ha messo nella vita. Ha seguito una caparbia volontà di voler capire, di voler capire tutto.
E io credo che alla fine ci sia arrivato a capire tutto. Avvolto nel suo morbido scialle color rosso fuoco, alla sua tarda età, il suo sguardo sapeva andare molto lontano e sapeva adagiarsi gentile sui colori delle sue ultime tele, finalmente libero, libero di giocare nella forma e nello spazio, nel colore puro o composto sapientemente, nella condizione che lo rendeva felice, quella astratta.

Dipingere per lui era una gran gioia. I momenti dedicati alla pittura sembravano liberi dal tormento che il cinema poteva dargli, insieme alla soddisfazione di saper fare il mestiere che amava di più, ma che lo metteva sempre alla prova.
Nei suoi ultimi anni, dal 2001, ha deciso di dedicare alla pittura tutto il tempo che gli rimaneva.Era al suo tavolo di lavoro tutto il giorno e tutti i giorni, assorbito nel colore, nella forma, nel silenzio, nella quiete del suo respiro. L'eleganza dei suoi gesti era disarmante, come sempre.

La sua casa, la nostra casa si è riempita di colori e di improvvisa giovinezza. Invece di invecchiare sembrava affrontare il viaggio verso la morte immerso nella bellezza, quando dipingeva l'aria intorno a lui diventava leggera e sembrava che tutto quello che aveva imparato, osservato, letto, capito, si potesse disporre in un rosso, in un verde, nell'accostamento di molti colori, a volte mischiati e cercati per ore. Lui che stava perdendo la vista si è lasciato riempire le pupille di luce colorata e ha raffinato sempre di più il suo sguardo, per riuscire a vedere meglio quasi come con un senso superiore. Come quando una volta siamo usciti dal Prado, dopo essere stati giorni davanti a Velasquez, mi ha detto 'ora vedo in modo completamente diverso'.

La pittura che ha guardato lo ha sempre influenzato. La bellezza e l'eleganza lo hanno strutturato, cominciando dalla sua città, Ferrara. Per capire veramente Antonioni bisogna andare a Ferrara, la notte, con la nebbia o al tramonto per gustare il colore caldo dei muri di cotto sempre coperti da un velo di grigio. Nelle piazze di Ferrara si trova la pittura che ha voluto ricreare nei suoi fotogrammi. Le piazze vuote, il deserto dei sentimenti, il rumore dei passi di camminate solitarie, percorsi vuoti all'interno di sé stessi. Il De chirico che si rivela a Ferrara era anche appeso alle pareti della sua casa romana, insieme a Morandi, a Bacon a Balla, Feininger, Baumeister. Una discreta collezione.

Il bianco e nero dei suoi film era costruito per essere infinitamente ricco di sfumature, composto da centinaia di grigi. Una fotografia pastosa che rendeva i volti di pelle di pesca, gli abiti fruscianti nelle loro pieghe. Aveva il gusto di una ricerca della fotografia nitida, quasi come la percezione dell'occhio, studiata con i più grandi maestri, quelli che hanno insegnato a tutti. Con loro, Gianni di Venanzo, Enzo Serafin, Michelangelo ha conosciuto le scale dei grigi e la ricchezza della luce.

Poi è venuto il momento di cedere al colore, di allontanarsi dalla nebbia, anzi di raccontarla con un occhio più distaccato. Si doveva preparare a raccontare le percezioni della sua natura più adulta, quella dell'uomo che sa stare nel deserto, o solo in una stanza deserta, di un uomo che non vuole appartenere a nessuna città, a nessun paese, per poter raccontare lucidamente di ogni cosa che vede.

Con Il deserto rosso si è veramente affermato pittore. Ha letteralmente dipinto i suoi set, i fotogrammi sono diventati tele. I colori esprimono i sentimenti, ancora di più della posizione della macchina da presa. L'angoscia è grigia, l'amore è rosa. Sembra così semplice, ma è grigia anche la faccia di chi vende la frutta su un carretto anch'esso grigio, in una strada tutta grigia. Poi negli interni, col pretesto di raccontare le impressioni di un personaggio psicopatico, si concede a dipingere le pareti nella ricerca dei blu, dei viola, i verdi. Esprime la sua voglia di essere pittore. Come Rothko che aveva visitato nel suo studio a New York nel 1962, per l'uscita de L'Eclisse.

Raramente Michelangelo riconosceva una grandezza negli artisti suoi contemporanei, invece considerava i quadri di Rothko superbi. Gli scriveva del quadro N.19, esposto alla mostra di Roma nel 1962: quest'opera è di una purezza e di una forza fenomenali, c'è tutto l'accaio di New York nel colore del quadrato superiore, così isolato dal fondo scuro: ti dà il panico, un panico cosmico. Questa è l'angoscia dipinta. Straordinario.

E ancora, in un'altra lettera. "Caro Rothko, io e lei facciamo lo stesso mestiere: lei dipinge e io filmo il niente."

E' stato quel dipingere il niente che lo rendeva felice. Solo immerso nel colore ha creato superfici che potevano parlare il suo linguaggio, di nuovo trovare un'armonia, un canto senza parole."

Enrica Antonioni

domenica 11 ottobre 2015

Niente da difendere per Daniele Cabri

Niente da difendere” di Daniele Cabri nasce come un gesto di grande spontaneità, sapiente successione di rapido automatismo, di voce interiore e parole silenti.

L’evocazione di immagini realiste accende grandi suggestioni, richiama al nostro patrimonio collettivo e poetico, all’interrogativo sull’esistenza e al legame tra vita e assoluto.

La realtà in queste opere pittoriche emerge come dal mare, dando origine a un diario intimo e all’urgenza di raccontare, uno sconvolgimento interiore che porta a compilare questi lavori come fossero un dizionario dei sentimenti vissuti sulla propria pelle.

Daniele Cabri usa il terreno della semplicità, nella parola come nel suggerimento alla lettura secondo sensibilità; nell’uso dei materiali poveri come il cartone, il collage di materiali stanchi, gli smalti industriali per dare voce al suo senso di umanità, al suo inesausto approfondimento sull’esistenza.

La sua pittura è come un fendente che entra nella superficie per scalfire la verità, dando origine a una pittura di gesto, di amore e di speranza.

“Niente da difendere” sono opere che vanno viste tutte insieme e lette come un libro, dove il filo conduttore è la vita e il sentimento che implacabile pone condizioni, ma ci invita a credere nell’uomo e nella sua possibilità di salvarsi. - Luca Rendina

Daniele Cabri - Niente da difendere
EX FABBRICA DELLE BAMBOLE
Milano - dal 13 al 27 ottobre 2015
Via Dionigi Bussola 6 (20143)
+39 3771902076
exfabbricadellebambole.jimdo.com

sabato 10 ottobre 2015

La Claustrophilia nell'arte di Dario Maglionico

Dario Maglionico - Claustrophilia
RIVAARTECONTEMPORANEA
Lecce - dal 10 ottobre al 14 novembre 2015

Reificazione #12 olio su tela 80x120 2015

"La rottura degli schemi tradizionali - scrive Ivan Quaroni - di rappresentazione, inevitabile portato delle Avanguardie del Novecento, assume oggi un particolare rilievo nelle espressioni figurative, talora condensandosi in una non rara forma di deflagrazione dei rapporti di spazio e tempo. 
A frantumarsi, nell’ambito della pittura, è soprattutto la linearità narrativa, l’unità del racconto che lascia il campo alla convivenza, a tratti confusa, di una pluralità di episodi, spesso affastellati l’uno sull’altro, convergenti e compresenti in una dimensione destrutturata. 

La simultaneità di episodi è, tuttavia, il sintomo di un diverso modo di concepire la realtà. L’idea, cioè, che possano convivere, all’interno dello spazio convenzionale della tela, diversi punti di vista, è, in verità, ormai diventata una prassi ampiamente diffusa. 
Per molti pittori contemporanei, e segnatamente per quelli provenienti dall’ex DDR o dai paesi europei che facevano parte del blocco sovietico, la destrutturazione del racconto visivo documenta una reale frantumazione (e poi un tentativo di ricostruzione) del tessuto sociale nel quale sono cresciuti, mentre per gli artisti occidentali, un tempo tutelati dal Patto Atlantico, questo modello di rappresentazione policentrica è una risposta all’affermarsi di un linguaggio visivo banalizzato e deteriorato tanto nella forma quanto nei contenuti. Penso qui, soprattutto all’impoverimento dell’immaginario massmediatico e delle varie forme di comunicazione nella società dei consumi, che ha imposto agli artisti più coscienziosi un necessario ripensamento dei valori formali e dei contenuti della pittura figurativa. 

Che ne siano coscienti o meno, gli artisti oggi sono influenzati da nuovi modelli percettivi della realtà, conseguenti tanto alla diffusione massiccia delle tecnologie digitali, che spesso induce nuovi modelli operativi, quanto alle conquiste nel campo delle scienze derivate dall’applicazione della meccanica quantistica in nuove branche di ricerca. Basti pensare, come spiega il fisico teorico Carlo Rovelli, membro dell’Institut universitaire de France e dell’Académie internationale de philosophie des sciences, che “le equazioni della meccanica quantistica e le loro conseguenze vengono usate quotidianamente da fisici, ingegneri, chimici e biologi nei campi più svariati” e inoltre che, senza di esse, buona parte della tecnologia che oggi utilizziamo non esisterebbe.

Nello specifico caso della pittura di Dario Maglionico, la destrutturazione del linguaggio narrativo attraverso la simultaneità di episodi che rompono la continuità del racconto, è il risultato di una riflessione sul concetto di reificazione, termine filosofico, che peraltro dà il titolo a una serie di opere, utilizzato da Karl Marx per descrivere la mercificazione (o riduzione a oggetto) delle persone e del complesso delle loro credenze morali, politiche, culturali e psicologiche. 

Nei dipinti di Maglionico questa riduzione oggettuale della persona assume i connotati di una traccia mnemonica, un’apparizione sfocata, ma localizzata tra le pareti di un interno domestico. Non è tanto la persona fisica a essere reificata, ma piuttosto il suo residuo psicologico e morale, impresso, anche se in modo aleatorio e fantasmatico, tra le maglie architettoniche dell’unità abitativa. Provvisoria e simultanea nelle tele dell’artista è, infatti, la presenza umana, che la casa assorbe come impronta parziale e dinamica di un passaggio, di un attraversamento che sembra imprimersi, come uno strascico, nel mobile tessuto spazio-temporale. Naturalmente, anche l’impianto fisico in cui si muovono (o si muovevano) le figure umane, risulta modificato. Il punto di vista dell’osservatore, nel registrare simultaneamente i diversi momenti dell’azione, subisce lievi alterazioni e così la posizione dei quadri alle pareti, dei mobili, dei complementi d’arredo - ma anche la loro stessa conformazione - diventa instabile, imprecisa, oscillante. 

Certo si potrebbe affermare, semplicemente, che nella pittura di Dario Maglionico la realtà è il risultato di una creazione arbitraria della mente, la sintesi visiva e opinabile di qualcosa di troppo complesso da descrivere. Tuttavia, la veridicità del suo modello rappresentativo troverebbe facilmente riscontro nelle teorie della fisica moderna, confortata, per esempio, dalla descrizione dei salti quantici nelle particelle subatomiche, il cosiddetto principio di “non località” o dalla scoperta, da Einstein in poi, della natura fondamentalmente illusoria e soggettiva dei concetti di spazio e tempo. In fondo, Maglionico è un pittore realista, anche se il suo realismo non obbedisce più, o non solo, ai principi della fisica newtoniana. 

D’altro canto, egli sembra interessato a esplorare anche alcuni processi psichici che, come spiegavo altrove, possono riferirsi al variegato ambito delle ricerche sul Campo Mentale. 
Mi sono reso conto”, afferma, infatti, l’artista, “che i miei sono tutti ritratti di famiglia, in cui i miei genitori, i miei zii, la mia ragazza, costituiscono varianti differenziate della mia identità”. Nel tentativo di individuare le ragioni intime della sua pittura, Maglionico ha riscontrato una similitudine con una forma di psiconevrosi chiamata claustrofilia. La claustrofilia, una tendenza morbosa a vivere in spazi chiusi e appartati, esprime l’esigenza dell’individuo di fondersi con le figure genitoriali, rispondendo a un profondo desiderio di protezione che non assume necessariamente un carattere patologico. 

Nei dipinti di Maglionico le figure familiari, con la loro qualità effimera ed evanescente, sono quindi espressioni di un io frazionato, parcellizzato in una pletora di entità esterne. In tal senso, l’interno domestico, contenitore di quelle apparizioni, diventa metafora stessa dell’individuo, un luogo appartato e sicuro, un argine contro le pressioni provenienti dall’esterno o, come scriveva John Ruskin, “il luogo della pace; il rifugio, non soltanto da ogni torto, ma anche da ogni paura, dubbio e discordia”. 

Quello che emerge dalla serie delle Reificazioni di Dario Maglionico è, quindi, l’espressione del convergere di una varietà d’istanze: dalle ragioni puramente linguistiche e formali, che riguardano, come dicevo, la necessità di riformulare i parametri della rappresentazione figurativa adeguandola a nuove necessità espressive, fino ai contenuti psicologici ed emotivi, che costituiscono invece l’ossatura tematica e, se vogliamo, motivazionale di questo ciclo di opere. Intendo dire che nella ricerca dell’artista, la sintesi linguistica e la disanima psicologica sono strettamente correlate in un sistema di scambi in cui l’una alimenta l’altra. Il linguaggio espressivo, infatti, può generare i temi, che, a loro volta, possono suscitare nuove soluzioni pittoriche. 

Il motivo della claustrofilia, che l’artista ha individuato ex post, cioè solo dopo la realizzazione delle più recenti Reificazioni e, dunque, per effetto di un’analisi a freddo sulle ragioni della propria pittura, diventa ancora più radicale nella serie degli Studi del buio. 

Sono opere caratterizzate da una forte riduzione cromatica, virata sui toni cupissimi del nero, che lasciano intravedere scorci d’interni silenziosi, luoghi claustrali, appena irrorati da sottili lampi di luce, dove lo spazio fisico dell’unità abitativa diventa un’immagine traslata di quello mentale e, insieme, la metafora sensibile di una discesa negli stati più profondi della coscienza individuale." 


Dario Maglionico - Claustrophilia
RIVAARTECONTEMPORANEA
Lecce - dal 10 ottobre al 14 novembre 2015
Via Umberto I 32 (73100)
+39 0832245933
danilo@rivaartecontemporanea.it
www.rivaartecontemporanea.it

mercoledì 7 ottobre 2015

Mapperò, però...

L'Arte è qualcosa di quasi incomprensibile: È un'emozione che parte dal cuore dell'Artista, passa attraverso i suoi modi di espressione (uno strumento, dei pennelli o una penna) e colpisce l'osservatore e l'ascoltatore trasmettendo la sensazione di origine che, se viene recepita, chiude il cerchio con vibrazioni positive che accrescono tutti. 

Il gruppo OltrelaTela, da anni impegnato nella promozione dei tre artisti che ne fanno parte, è un gruppo artistico fuori dai canoni tradizionali. Oltre che nelle arti visive, cerca l' espressione anche in musica, e, dall'unione di melodie, ritmi e colori, è nato il progetto. "Mapperò, però... ". 

 Si propone, visto che i tre sono anche musicisti, un'esperienza artistica che coinvolge il pubblico, presentando le opere suggerite dai brani in esecuzione o improvvisando ispirati da quelle esposte. Si descrive come è nata l'idea, come si è realizzata, le tecniche usate e cosa se ne pensa del risultato finale. Una sorta di critica fatta dagli stessi esecutori e alla quale è chiamata a partecipare anche il pubblico presente. Molto coinvolgente. I tre artisti, Marco Recchia, Walter Necci e Patrizio de Magistris, sono ben assortiti e non si sovrappongono nei generi né nelle tecniche usate. Hanno esposto in numerosissime mostre e sono presenti in collezioni sia private che pubbliche (anche separatamente). 

L’assortito gruppo musicale che si affianca, N.O.J.m. Not Only Jazz mescolas, con Francesco al djembè, Patrizio de Magistris al basso, Marco Recchia al pianoforte, Angelo Nardi col suo sax e Walter Necci alle percussioni, ha preparato un repertorio interamente dedicato al progetto con brani provenienti dai più disparati generi (bossa, jazz, tradizionale, funk) e riadattati per l'occasione.

Mapperò, però... 
Quando creare emozioni è Arte 
Marco Recchia, 
Walter Necci, 
Patrizio de Magistris 
dal 15 al 18 ottobre 2015 
inaugurazione e concerto 
sabato 17 alle ore 18:30 
ingresso libero 


Associazione Culturale e galleria d'Arte "A.C. Artisti di via Giulia" - via Giulia - Roma - Orari: martedì-sabato: 11:30-19:30
Email: infoac@artistidiviagiulia.it   Sito:www.artistidiviagiulia.it +39 392 0525969

L’Associazione Culturale e galleria “A.C. Artisti di Via Giulia”, rappresenta uno degli spazi espositivi più innovativi della Capitale. Organizzazione di eventi, accordi con associazioni di scrittori e poeti per la presentazione di pubblicazioni, con giornalisti e critici, con negozi di belle arti, con istituzioni e privati, ricerca di Patrocini Pubblici ecc. Il mercato dell'arte si è oramai identificato con l'espressione dell'arte. L'impegno degli artisti di via Giulia quindi è e sarà quello di dare luci, colori, espressioni, intensità alla vitalità degli autori impegnati, oggi, in questo scenario metropolitano. Una risposta anche a coloro che ritengono che l'arte sia morta. 

Un mondo di colori

Mercoledì 7 ottobre, alle ore 18.30, nelle sale Mario Fabiani di Palazzo Medici Riccardi, inaugurazione di 'Un mondo di colori', mostra di pittura, collage e grafica di Karel Vysusil (1926 -2014) con la partecipazione straordinaria della Scuola Alberghiera Radika di Praga e dell’Istituto Enriques di Castelfiorentino

Vengono esposte 47 opere dell’artista dalla collezione privata di Martin Vysusil, figlio del pittore. 
La mostra, promossa dal Consolato onorario della Repubblica Ceca per la Toscana e da Arca – Amici della Repubblica Ceca Associati, è patrocinata dalla Città Metropolitana di Firenze, dal Comune di Firenze e dalla Regione Toscana. Rimarrà aperta tutti i giorni, escluso il mercoledì, dall’8 al 27 ottobre 2015, dalle 9 alle 19. Per la visita, è necessaria la prenotazione scrivendo a florenceinfo.cz@gmail.com o telefonando al numero 055284454. 

Durante l’inaugurazione verrà offerto un buffet italo-ceco con la partecipazione straordinaria della Scuola Alberghiera Radlicka di Praga e del’Istituto Enriques di Castefiorentino. 

Karel Vysusil, pittore e grafico della Repubblica Ceca, rappresenta uno dei più affermati artisti cechi del dopo guerra. 
Il suo percorso artistico inizia con gli studi all’Accademia di Belle Arti di Praga dai prof. Otakar Nejedly e Karel Minar. Dal 1952 diventa un membro di Hollar (Associazione della grafica libera) e negli anni ’60 diventa uno dei fondatori del gruppo artistico G7 (insieme con John, Šimotová, Balcar, Karasek, Hadlac, Sovák), LG 5 (Týfa, Coniglio, J. Novak, Sklenar, Vysušil) e Maj. 

Fra le sue tecniche incisorie maggiormente utilizzate si sottolinea la punta secca, l’acquaforte e la litografia colorata. Inoltre sono presenti tecniche come la pittura ad olio e il collage. 

Vysusil, lavora con litografia colorata come trasposizione di pittura libera. Negli anni ’70 poi ha arricchito le pratiche artistiche creative nella tecnologia “auto collage”. Gli anni ’60 sono dedicati soprattutto all’incisione astratta in punta secca e l’incisione all’acqua forte. Famosi sono anche i suoi manifesti, illustrazioni di libri, copertine di libri e riviste. Negli anni settanta, oltre alla grafica e dipinti si dedica alla creazione di manufatti non tessuti tessili (artprotis). 

L’artista ha avuto oltre 60 mostre personali e ha partecipato a oltre 250 mostre collettive in Austria, Germania, Giappone, Svizzera, Francia, Paesi Bassi, Slovenia, Italia, Polonia, Stati Uniti e la Repubblica Ceca. Ha vinto numerosi premi anche a livello internazionale, fra i quali la placca d’argento a Tokyo -1969.